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Una cultura appesa agli elettroni

  • Gian Maria
  • 22 mar 2015
  • Tempo di lettura: 3 min

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Credo che a ogni studioso/studente di filologia sia capitato di interrogarsi sui misteri della tradizione letteraria e della trasmissione dei testi antichi. A me la cosa ha sempre dato una gran vertigine. Anche soltanto considerando la letteratura latina precristiana, che tra tutte quelle antiche che conosco è quella più simile alla nostra, articolata, multiforme, laica. Una letteratura di cui oggi ci resta grossomodo il 10% - soltanto il 10%, cioè un autore su dieci oppure, se parliamo di opere, un testo su dieci. I migliori? In alcuni casi, probabilmente. Soprattutto quelli che già dall'antichità erano parte dei programmi scolastici e poi quelli che vennero inseriti in citazioni nei testi di altri autori, per lo più grammatici e retori dei secoli IV-VI d.C. E poi ragioni economiche: la cultura profana venne messa in secondo piano negli scriptoria altomedievali, la pergamena era costosa, i tempi di riproduzione dei manoscritti lunghi; e poi il caso, beffardo amico di alcuni, di altri acerrimo avversario. Certo è che dei rotoli in papiro su cui si scrivevano i libri nell'antica Roma non resta nulla, se non fu poi trascritto su pergamena. Per dire che il supporto fu fondamentale - basta considerare che da qualche decennio si conoscono i testi dei manoscritti del Mar Morto e i codici di Nag Hammadi solo e soltano perché il clima secco del deserto ne ha permesso la conservazione. Gli stessi papiri fossero stati in Italia, non esisterebbero ormai più da secoli.


Conosciamo i nomi di 800 autori latini. Di soli 144 tra quelli ci sono pervenute una o più opere complete. Di circa 350 ci sono arrivati frammenti più o meno ampi riportati in opere altrui. Di circa 300 non ci è giunto nulla. Se questo è il 10% della produzione letteraria della latinità, si può dire che di 7.200 autori non conosciamo nemmeno il nome. Gente che pure scrisse, dedicò ore e giorni alla scrittura, allo studio, alla promozione di sé stessa. Sappiamo che alcuni furono anche celebri tra i contemporanei, autori di successo cui però il destino non ha voluto concedere fama postera. Un destino strettamente legato ai supporti su cui i loro testi furono scritti: il papiro. Ma anche a chi fu poi trascritto su pergamena non sempre il fato letterario ha arriso: durante il medioevo e la prima età moderna le biblioteche bruciarono, furono saccheggiate, di alcuni manoscritti pergamenacei ci sono giunti soltanto gli incunaboli o le cinquecentine.


Oggi tutta questa letteratura superstite è migrata sui formati elettronici, insieme a molta della nuova letteratura che ormai viene prodotta esclusivamente in ebook. Formati agili, riproducibili indefinitamente e senza sforzo, eppure tra tutti i formati precedenti forse quelli più fragili, perché dipendenti dall'elettricità. Mancando la quale - per nuove catastrofi o imprevedibili barbarie - verrebbe in un solo momento a mancare tutto ciò che sui formati elettornici ha trovato dimora. Non so dire in che modo, se e per quanto tempo potrebbe rimanere un testo su una memoria non volatile lasciata senza corrente per un tempo indeterminato. Forse per molto meno tempo di un papiro abbandonato in clima mediterraneo. Forse i filologi di un eventuale futuro distopico dovranno inventarsi tecniche informatiche per raschiare gli hard disc e i server al modo dei palinsesti. O forse andrà tutto perso e si ripartirà da una nuova età dell'oro.

Per approfondimenti:

Biblioteche digitali e banche dati:

Et cetera

 
 
 

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