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Le navi del lago di Nemi

  • Gian Maria
  • 8 mar 2015
  • Tempo di lettura: 2 min

Italy, Lago Nemi01b.jpg

Si dice che i libri siano creature vivaci e interessanti perché raccontano storie. Dal mio punto di vista, i libri sono creature interessanti quando raccontano storie. Non sempre lo fanno. Forse non sempre raccontano le storie che mi piace leggere.


Lavorare con i libri, oltre al piacere della creazione e della manipolazione del linguaggio, ha il gran vantaggio di portarti a conoscenza storie che altrimenti avresti ignorato. E non solamente storie inventate, anche storie storiche, fatti umani anche spesso stupefacenti, dimenticati, occult(at)i.


È questo il caso della vicenda delle navi romane del lago di Nemi, cui fa cenno (significativo però) Cristiana Macchiusi nel suo libro Alle otto da Vincenzo, al quale sto lavorando in questo periodo. Per inciso, i primi 4 capitoli con sinossi e lettera di presentazione sono al momento sul tavolo del direttore editoriale di Rizzoli, incrociamo le dita!


Il lago di Nemi è un luogo leggendario, anche se oggi ormai la gente ci va solo per mangiare le fragoline con la panna. Ne parla James G. Frazer nell’incipit della sua opera monumentale Il ramo d’oro, specie di matriarca letteraria degli studi di antropologia sociale, mitologia e religioni comparate. L’antico bosco (Nemi per antonomasia è dal latino nemus, 'bosco' appunto) fu sede preistorica di cruenti rituali legati ai cicli delle stagioni, poi sede del famosissimo tempio di Diana, secondo nell’antichità soltanto a quello di Efeso. L’imperatore Caligola – di maledetta memoria – sul lago volle si costruissero due navi adibite al culto della Dea Iside, a cui era devoto. Iside o Diana, aspetti della medesima entità, le divinità allora non rivaleggiavano per simili sciocchezze.


Morto Caligola il pazzo, l’orientale, il teocratico, le navi vennero affondate e immerse rimasero per 2000 anni, tra le dicerie popolari che fantasticavano di enormi tesori nascosti sul fondo del lago. Fu Mussolini a estrarle e a metterle in un museo fatto apposta per loro (1929-1932) e furono i nazisti in fuga (o forse gli abitanti di Genzano che nel museo avevano trovato rifugio) a metterle a fuoco nel 1944. Non erano navi destinate all’aria aperta, è evidente. Oppure la maledizione del senato romano non era ancora stata consumata, chissà...


Di sicuro c’è il fatto che le indagini archeologiche sul lago di Nemi sono andate poco lontane. Le navi bruciate, la zona templare parzialmente scavata ma da decenni in stato di abbandono. Meglio così. Le divinità offese e scacciate lasciano dietro di sé terra bruciata. Di ciò che fu l’immenso culto di Diana nemorense resta oggi una debolissima traccia su in paese, in quella Madonna del Versacarro che in modo davvero enigmatico ricorda il mito fondatore di Ippolito, alias Virbio, e Diana (Virgilio, Eneide VII).

Per approfondimenti:

 
 
 

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